Questa settimana, nella sesta edizione di Challenging Weeks, la newsletter settimanale di Challenging Consulting, vi presentiamo la nostra prima ricerca sperimentale.

Il tema della ricerca si concentra sull’efficacia del modello dello smart working, attraverso l’intervista ad un campione ristretto di aziende e lavoratori.

LO SMART WORKING

Nel 2020, a causa della pandemia mondiale, si diffuse un nuovo modello lavorativo con l’obiettivo di non far cessare la produzione. Successivamente, dopo l’emergenza sanitaria, molte aziende confermarono questa modalità alternandola al lavoro in presenza in ufficio. Ovviamente, il campo di applicazione è limitato solamente ad alcune funzioni lavorative ove non sia necessaria l’interazione fisica tra lavoratori.

D’altro canto, in alcuni settori lo smart working è estremamente limitato poichè è richiesto il contatto con il pubblico come nel retail o la vendita al dettaglio, nella sanità, nell’edilizia e l’ordine pubblico.

I BENEFICI PER I LAVORATORI

Ove sia applicabile, lo smart working apporta significativi risvolti positivi nella vita dei lavoratori sotto diversi aspetti rinvenibili sia sotto il profilo produttivo che del benessere.

Infatti, l’89% degli intervistati attribuisce una significativa importanza a tale modalità poiché consente non solo di risparmiare tempo nel tragitto casa-lavoro, riducendo così i costi di trasporto e consumi di carburante, ma anche di guadagnare qualche ora in più, e soprattutto di migliorare la produttiva e l’equilibrio vita privata-lavoro. Dal questionario si evince che per il 50% degli intervistati, il work-life balance è una priorità dato che influisce positivamente anche sul benessere mentale degli stessi in quanto, rimanendo nella propria abitazione, si ha il tempo per dedicarsi ai propri interessi.

A questo si contrappone il fatto che lo smart working presenta anche degli aspetti negativi, in particolare nel caso del full remote e dell’interazione sociale. Il 46% declina un lavoro full remote in quanto aumenta notevolmente il rapporto tra le ore lavorative e quelle effettive, con il rischio di bournout per il lavoratore stesso. Inoltre, il lavoro full remote limita l’interazione fisica e sociale con i colleghi, aumentando il rischio di isolamento e di riduzione delle occasioni di socializzazione. Ciò può comportare una mancanza di confronto diretto, che invece stimola la produttività, la collaborazione e la creatività nel contesto lavorativo.

La maggior parte (65% di quell’89%) degli intervistati favorevoli allo smart working appartiene alla Gen Z. Dalle loro risposte è emerso che la priorità è mantenere un equilibrio tra vita personale e lavoro, dedicarsi alle proprie attività preferite e non portarsi il lavoro a casa, beneficiando mentalmente ed evitare il rischio bournout.

LE AZIENDE E LO SMART WORKING

Se da una parte un’intera generazione spinge per avere una modalità lavorativa ibrida, senza rinunciare all’interazione sociale e alla produttività, dall’altra alcune aziende intervistate sono contrari allo smart working e preferirebbero il lavoro a pieno regime in ufficio (35%).

Le motivazioni sono riconducibili sia alla dimensione aziendale che alla produttività dei lavoratori. Infatti, lo smart working è visto come un ostacolo alla produttività poichè la mancata presenza in ufficio è visto come una riduzione della produttività dato che da remoto le distrazioni sono molto più frequenti e viene a mancare il focus sul raggiungimento degli obiettivi.

Di contro, le aziende di medio-grandi dimensioni (50-200 dipendenti), sono assolutamente propensi a concedere una modalità lavorativa ibrida (65%). Le motivazioni sono riconducibili a quelle già citate in precedenza (work-life balance, produttività e benessere dei dipendenti) allineandosi con le aspettative e i bisogni dei dipendenti favorendo un ambiente di lavoro sano e produttivo. Inoltre, un altro aspetto positivo dello smart working per le aziende è attribuibile all’ottimizzazione di spazi, rendendoli fruibili per i neoassunti, e di risorse economiche.

È altresì importante lasciare ai dipendenti la possibilità di scelta, in base alle loro esigenze e ai loro bisogni!

SOSTENIBILITA’ O GREENWASHING?

Infine, lo smart working può impattare positivamente sull’ambiente ma bisogna far attenzione a come viene applicato, dato che il rischio di greenwashing è elevato.

I benefici che derivano dal lavoro da remoto includono la riduzione delle emissioni di Co2, la decongestione del traffico e il risparmio energetico, poiché con meno dipendenti in ufficio si riducono i consumi legati al riscaldamento, alle emissioni legate allo spostamento e alla climatizzazione degli spazi aziendali.

Il problema è che diminuiscono i consumi aziendali ma aumentano nelle abitazioni private ed è per questo che si parla di greenwashing, ovvero quando si comunica di intraprendere delle scelte sostenibili che in realtà tali non sono.

L’attenzione deve essere posta sull’utilizzo dei consumi domestici dal momento che effettuare un investimento green richiede un investimento economico iniziale non indifferente. Di fatti, numerose famiglie non possono permetterselo, nonostante i risparmi significativi che potrebbe garantire nel lungo periodo. Inoltre, l’OIPE (Osservatorio Italiano sulla Povertà Energetica) ha rilevato che 2,5 milioni di famiglie italiane vivono in condizioni di povertà energetica. Il lavoro in smart working impatta significativamente sulla loro produttività e sull’economia, poiché comporta un aumento del consumo energetico domestico e richiede dispositivi elettronici aggiuntivi e una connessione internet stabile.

In definitiva, lo smart working con il giusto equilibrio, può essere la soluzione del futuro lavorativo?